Disastro, catastrofe, apocalisse e la letteratura delle ultime cose

Disastro, catastrofe, apocalisse, spesso preceduti dal prefisso, e si scusi il gioco di parole, post, sono spesso indicati come sinonimi per definire un genere letterario, assai ampio ed eterogeneo, che anche in Italia ha conosciuto negli ultimi anni un non lieve interesse e una notevole rappresentazione produttiva a livello di romanzi e racconti. L’impulso della cinematografia straniera, così come la produzione narrativa proveniente d’oltralpe, d’oltremanica e d’oltreoceano, unita all’atmosfera da terza guerra mondiale che da anni grava come una coltre di terrore e d’incertezza sul mondo, hanno contribuito alla diffusione nella Penisola di una letteratura spesso definita post-apocalittica o post catastrofica o ancora del disastro e della distruzione, dove è però sempre il dopo, vissuto diegeticamente come momento della sopravvivenza e dell’esistenza, a costituire il fulcro della narrazione e pertanto il punto di massimo interesse per il lettore. Romanzi come L’uomo verticale, di Longo, Cinacittà di Pincio, Qualcosa, là fuori di Arpaia, o Metropoli di Santarossa, pur assai diversi per caratteristiche e finalità, pongono al centro della narrazione una realtà altra, in cui qualcosa di traumatico e inarrestabile è avvenuto, e con le cui conseguenze chi sopravvive deve fare costantemente i conti, trasformando l’esistenza in sopravvivenza e i luoghi familiari in posti che di familiare hanno solo il ricordo, spesso doloroso, e dove tutto è divenuto, per varie causa e in molti modi, minaccioso e pericoloso.
Non è solo il libro dell’Apocalisse ad aver ispirato secoli di produzioni narrative, pittoriche, cinematografiche e teatrali, sia nel mondo. Il libro giovanneo, nel quale incombe sì la minaccia di annientamento e distruzione, è tutto teso alla rigenerazione dell’individuo, alla catarsi, alla realizzazione spirituale in Dio e attraverso il Suo messaggio. La letteratura così detta post-apocalittica, e che dovrebbe invece definirsi letteratura del disastro e della sopravvivenza alla catastrofe, tranne notevoli eccezioni pone la sopravvivenza al centro delle vicende, focalizzando i propri spazi e i propri tempi attorno non alla palingenesi dell’umanità, ma alla sua sopravvivenza e al suo umano permanere. Nei romanzi e nei racconti che si intendono analizzare non vi è purificazione attraverso la distruzione ma sopravvivenza dovuta al caso o all’ingegno, alla scienza, alla volontà di sussistere in una realtà anche irriconoscibile ma tutta terrena. Ad una teleologia divina subentra, nelle narrazioni della fine, o meglio del dopo la fine, una teleologia che vede nella sopravvivenza e nella continuità l’unico vero fine pre-esistente. Se, come scrisse il teologo Ravasi: “Più che rivolgersi alla fine del mondo, l’Apocalisse s’interroga sul fine del mondo e della storia” , le narrazioni post apocalittiche si soffermano sul post, ovvero su ciò che viene dopo ‘la fine’, ovvero dopo la fine di un determinato stato di cose: la modernità, la contemporaneità, il presente, l’adesso. L’Apocalisse è rivelazione, poiché, per citare ancora Ravasi: “Sarà Cristo a svelare il senso ultimo della storia” (57), uno svelamento preceduto e accompagnato da un fittissima e intricata foresta di simboli, alcuni dei quali, fuoco, apertura dei sigilli, sconvolgimenti planetari, insetti, bestie, malattie e flagelli, sono anche meccanismi diegetici di assoluta affidabilità e pertanto utilizzati in ogni finzione narrativa o filmica. È tuttavia il libro dell’Apocalisse ad aver seguito per mimesi la storia di violenza e di distruzione dell’umanità, non è l’umanità che dà forma alla propria fantasia di distruzione sul modello del libro biblico, il ‘nuovo inizio’ di cui i personaggi delle narrazioni italiane e non parlano spesso non è tuttavia da vedersi come “una purificazione dal male che corrompe la terra” (153). L’Apocalisse, come ha ampiamento dimostrato Ravasi: “Non [è] un libro sulla fine catastrofica del mondo, bensì la celebrazione di una meta, di un fine pieno e glorioso a noi destinato da Dio” (201), e se non pochi simboli e riferimenti compaiono in autori che hanno descritto catastrofi o inventato storie in cui la catastrofe in divenire o avvenuta gioca un ruolo importante, ciò non fa di queste storie delle narrazioni apocalittiche o post apocalittiche. Per le narrazioni del disastro e del dopo disastro italiane si vuole allargare la categoria che Berger attribuisce alle scritture post apocalittiche, ovvero il loro essere reazione e critica totale di uno status quo e ordine sociale. Per Berger “Apocalypse is a semantica alchemical process; it burnas and distills signs and referents into new participants” . La fine, che con e attraverso il disastro e il collasso arriva su scala locale o globale, non rappresenta mai, né può rappresentare la fine di tutto, poiché il “Sense of the Ending” non può che essere ricostruito a posteriori, altrove, da chi è sopravvissuto, da sopravvissuti o da testimoni. Un celebre romanzo ambientato in un bunker sotterraneo, Level Seven, immaginando la fine della vita sulla terra dopo la guerra nucleare, deve ricorrere a un espediente di archeologia intergalattica per ridar voce e senso alla parole scritta del protagonista, morto per le radiazioni tanto tempo prima, mentre i giovani della brigata decameroniana di Boccaccio, testimoni oculari della peste e del collasso della vita civile e urbana del 1348, sopravvivendo e ritornando in città, potranno loro stessi raccontare a chi non vi ha assistito la potenza distruttrice dell’epidemia, prodromo medievale di infinite altre epidemie future che minacceranno il genere umano nei secoli successivi. A sopravvivere nella trilogia post atomica di Carlo Cassola sono animali, così come nel romanzo di Volponi Il pianeta irritabile, mentre i superstiti umani delle radiazioni di Scerbanenco e Rossignoli devono affrontare brutali conseguenze fisiche e fisiologiche del sovvertimento delle leggi naturali dovuti alla violazione della struttura dell’atomo. Come ha dimostrato Frye il discorso metaforico è consustanziale alla narrazione biblica, e la simbologia della distruzione del libro dell’Apocalisse ha una serie di significati che non possono coincidere che parzialmente con quelli della narrativa sia alta che di consumo del dopo disastro. Le metafore e i simboli biblici sono oscuri, e volutamente, mentre la narrativa fantascientifica e di anticipazione segue strutture proto e parascientifiche che ambiscono alla chiarezza e alla trasparenza. Le narrazioni del disastro e della sopravvivenza sono assai più prossime ad alcuni episodi biblici nei quali, assieme al Decameron e ai Promessi Sposi, si devono vedere gli archetipi a livello sia narrativo che di significato. Il diluvio universale è, per la dinamica intrinseca di distruzione-sopravvivenza- ricostruzione l’esempio più calzante di modello per la narrativa post apocalittica. Il diluvio della Genesi è assai più apocalittico dell’Apocalisse stessa, e la sua narrazione, concentrandosi su un gruppo di sopravvissuti che opera per scampare ad un pericolo immenso che non risparmia nessun altro, e soffermandosi poi sul ‘dopo’, ovvero su tutto ciò che avviene alla fine della tragica distruzione, con la ricostruzione e la rifondazione di un modo di vivere oltre al sopravvivere, è il vero archetipo della narrativa post-apocalittica. Le bombe che distruggono Milano in H come Milano di Rossignoli romanzo del 1960, per fare un solo esempio, piovono dal cielo come l’acqua, e seminano morte e distruzione ovunque. Alcuni sopravvivono, e la narrazione si focalizza sul protagonista e io narrante e sulla sua donna, seguendoli in un viaggio, o meglio una navigazione dentro e attraverso le macerie, con una puntata nella metropolitana, anticipazione non effimera dell’idea che sta dietro l’Universo Metro 2033, nato in Russia e assai ben attecchito anche in Italia, e non a caso.

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