The Last Man on Earth (1964) è un film girato a Roma, nel quartiere dell’Eur con protagonista Vincent Price nel ruolo del protagonista, l’eponimo ultimo uomo del titolo. Che poi tanto ultimo non è visto che viene ucciso, alla fine, da un esercito di esseri antropomorfi, che lo spettatore sa essere una via di mezzo fra i non morti e gli esseri umani veri e propri.
L’ultimo uomo è tale perché interamente umano, immune dalla malattia che ha devastato l’umanità, il cui sangue potrebbe immunizzare chiunque, se invece di inseguirlo per ucciderlo si fossero presi la briga di ascoltare le sue parole e quelle della donna che ha salvato e a sua volta immunizzato con una trasfusione. In questo il discorso distopico dell’uomo che uccide l’uomo nel crepuscolo dell’umanità è cristallino: l’uomo (più o meno contagiato) è lupo all’uomo, sempre e comunque.
La trama è ben nota ai lettori del romanzo di Richard Matheson I am legend (1954) cui il libro, pur liberamente ispirato, risulta il più fedele di tutti gli adattamenti cinematografici, compreso il più recente, quello con Will Smith, dove gli effetti speciali cancellano ogni atmosfera e gravano sulla storia.
Una pandemia spopola la terra trasformando i viventi in esseri simili a zombi o vampiri, che assediano ogni notte la casa fortificata del protagonista, Morgan (Neville nel romanzo), scienziato che, dopo aver cercato una cura e aver perso moglie e figlia, ‘bonifica’ sistematicamente le zone della città bruciando i cadaveri inattivi di giorno.
Incontra una donna infetta semi-immunizzata dalla malattia e la cura immunizzandola completamente con il proprio sangue prima di venire ucciso dalle squadre di vigilantes che, parzialmente contagiati e parzialmente ‘vivi’, hanno ereditato la terra.
Perché la locandina del film mostra una villa gotico-vittoriana quando nel film nulla di lontanamente paragonabile compare? The Last Man on Earth ha come locations oltre alla periferia di Roma, l’Eur, con interessanti interni: un supermercato tuttora esistente l’interno di una concessionaria di auto, una cripta, una chiesa per il finale e naturalmente la casa di Morgan, che nulla ha di vittoriano.
Il perché della locandina va ricercato a mio parere nella presenza di Vincent Price sulla locandina stessa, e la potenza dell’associazione del volto dell’autore con i film per cui era famoso, e naturalmente con House on Haunted Hill (1959) film di William Castle e adattamento del romanzo di Shirley Jackson The Haunting of Hill House.
(La moglie di Morgan, revenant. Una scena che molto deve essere piaciuta ai realizzatori della serie televisivsa The Walking Dead, che proprio al personaggio Morgan, asserragliato in una casa fortificata con il figlio, vede la moglie che zombi che cerca di tornare in casa)
Le spettrali figure femminili, la stessa espressione di Price, gli alberi scheletrici e le sagome demoniache sono gli elementi ricorrenti mentre peculiari sono due figure femminili: quella incolore, aliena della locandina di Last Man e quella, di cui vediamo solo la testa, tenuta per i capelli (sorta di Medusa dagli occhi bianchi?) in quella House. Donne morte in entrambe le locandine, poi: l’impiccata nelle mani dello scheletro da una parte e la donna riversa, discinta al contrario del personaggio del film, nella locandina di Last Man.
I motivi delle manipolazioni che le locandine cercano di operare sul futuro spettatore sono evidenti: gotico, mistero, sensualità vengono promessi assieme a brividi e ai topoi di un genere che esige determinati elementi testuali e figurativi. Che poi i film non rispettino in toto le promesse (e le premesse) delle locandine non importa, lo spettatore ha già pagato il biglietto e pagherà ancora in futuro.
Commenti
Posta un commento